Glossario
PROTEINA
Le proteine sono tra i composti organici più complessi e sono i costituenti fondamentali di tutte le cellule animali e vegetali. Dal punto di vista chimico, una proteina è un polimero (o anche una macromolecola) di residui amminoacidici, uniti mediante un legame peptidico, spesso in associazione con altre molecole e/o ioni metallici (in questo caso si parla di proteina coniugata).
Le proteine possono essere classificate in due grandi famiglie: le proteine globulari e le proteine a struttura estesa o fibrosa. Queste due organizzazioni riflettono le due grosse separazioni funzionali che le contraddistinguono:
* Le proteine estese o fibrose svolgono funzioni generalmente biomeccaniche, esse per es. rientrano nella costituzione delle unghie, dei peli, dello strato corneo dell'epidermide, ecc., opponendo una valida difesa contro il mondo esterno.
* Al contrario, le proteine globulari sono coinvolte in specifiche e molteplici funzioni biologiche, spesso di notevole importanza per l'economia cellulare, per es. sono proteine gli enzimi, i pigmenti respiratori, molti ormoni e gli anticorpi, responsabili della difesa immunitaria.
La molecola proteica risulta costituita da atomi di carbonio, ossigeno, idrogeno e azoto; spesso contiene anche zolfo (presente negli amminoacidi metionina, cisteina e cistina) e, talvolta, fosforo e/o metalli come ferro, rame, zinco ed altri.
I protidi sono uno dei componenti fondamentali delle cellule. La loro composizione in amminoacidi è variabile e sotto il controllo genetico per cui il loro peso molecolare può essere molto variabile e dipende dal numero e dal tipo di amminoacidi (monomeri) di cui è costituita la molecola (eteropolimero in cui il peso molecolare medio di un amminoacido è circa 115). Se la molecola è costituita da poche unità di amminoacidi (in genere non più di 15 ÷ 20) viene definita un oligopeptide. In genere, un oligopeptide non ha una ben definita conformazione in soluzione ma, essendo piuttosto flessibile, la cambia continuamente. un polimero più lungo si dice polipeptide. uno o più polipeptidi costituiscono una proteina.
Gli amminoacidi presenti negli organismi viventi sono numerosissimi ma solo venti di essi sono sottoposti al controllo genetico, come conseguenza dei processi evolutivi, e contenuti nelle proteine:
1. acido aspartico (monoamminodicarbossilico)
2. acido glutammico (monoamminodicarbossilico)
3. alanina (monoamminomonocarbossilico)
4. arginina (diamminomonocarbossilico)
5. asparagina
6. cisteina (monoamminomonocarbossilico)
7. fenilalanina (monoamminomonocarbossilico)
8. glicina (o glicocolla)
9. glutammina
10. isoleucina
11. istidina
12. leucina
13. lisina (diamminomonocarbossilico)
14. metionina
15. prolina (iminoacido)
16. serina (monoamminomonocarbossilico)
17. tirosina
18. treonina
19. triptofano (monoamminomonocarbossilico)
20. valina
Tra gli amminoacidi non proteici annoveriamo il GABA (acido gamma-amminobutirrico, un mediatore chimico del sistema nervoso), la DOPA (3,4-diidrossi-l-fenilalanina, precursore dell'adrenalina), ed altri che hanno specifiche e spesso importanti proprietà biologiche. Gli amminoacidi essenziali per il nostro organismo sono 10 (istidina, isoleucina, leucina, lisina, metionina, fenilanina, treonina, triptofano e valina). Alcuni di essi sono "condizionatamente essenziali", ovvero diventano indispensabili solo sotto specifiche condizioni fisiologiche o patologiche (ad esempio: cisteina, tirosina, taurina, glicina, arginina, glutammina, prolina).
La quantità delle proteine presenti nel siero è definita come proteinemia totale, i cui valori normali sono compresi fra i 6 e gli 8 grammi per decilitro .
Considerata da sola, la proteinemia totale può fornire soltanto genericamente indicazioni su eventuali stati patologici, in quanto le varie frazioni delle proteine, pur subendo singolarmente delle modificazioni, tendono a compensarci, per cercare di rispettare un certo equilibrio biologico. Avviene cosi che la proteinemia totale subisce notevoli variazioni in più o in meno in casi del tutto particolari o in gravissime malattie.
Un aumento della proteinemia si può osservare, per esempio, in caso di eccessiva sudorazione (sforzi fisici prolungati, intensa attività sportiva) o disidratazione cioè perdita in breve tempo di liquidi organici, come in caso di diarrea e vomito infrenabili, di diabete scompensato, di shock o collasso acuto.
Una diminuzione delle proteine totali si verifica quando si riduce I'apporto proteico, per anoressia (patologica mancanza di appetito), difetti dell'assorbimento intestinale, per mancata o difettosa sintesi proteica dovuta a carenza di vitamine e di aminoacidi, per malattie del fegato a carattere cronico, per perdita o distruzione di proteine come si verifica nell'ipertiroidismo, in alcune malattie renali, nelle ustioni estese e nelle emorragie.
DISCRASIE PLASMACELLULARI
Gruppo di disordini clinicamente e biochimicamente diversi di eziologia sconosciuta, caratterizzati da una sproporzionata proliferazione di un clone di cellule B e dalle presenza di un'immunoglobulina strutturalmente ed elettroforeticamente omogenea (monoclonale) o da una subunità polipeptidica nel siero o nelle urine.
Patogenesi e classificazione
Normalmente, la produzione delle immunoglobuline è eterogenea (policlonale), con ogni clone plasmacellulare secernente solo una catena pesante (gamma, mu, alpha, delta o epsilon) e una catena leggera (kappa o lambda) durante la sua vita. Di norma le catene leggere vengono prodotte in modico eccesso per cui nelle urine delle persone sane si ritrovano piccole quantità di catene leggere ( 40 mg/24 h).La sproporzionata proliferazione di un singolo clone si traduce in un aumento del livello sierico della molecola secreta, la proteina immunoglobulinica monoclonale (proteina M). La proteina M è rapidamente rivelata come un alto picco simmetrico omogeneo (picco M) con mobilità di tipo 2-1-2 o all'elettroforesi del siero o delle urine. L'immunofissazione è richiesta per identificare la classe della catena pesante e leggera della proteina. L'entità del picco di produzione della componente M è correlata al numero di cellule dell'organismo che la sintetizzano: quindi, queste proteine sono marker dei cloni B-cellulari. La maggior parte delle proteine M sembra piuttosto il normale prodotto di un singolo clone cellulare che è andato incontro a un'intensa proliferazione. Non sono qualitativamente anomale. Alcune di queste proteine M mostrano attività anticorpale, più frequentemente diretta verso autoantigeni e antigeni batterici. Una recente analisi suggerisce che l'espressione dei geni delle immunoglobuline, che portano alla produzione delle proteine M, avviene in modo antigenicamente determinato. Spesso i livelli sierici delle altre immunoglobuline non monoclonali sono comunemente ridotti. Il difetto nella produzione delle immunoglobuline nel mieloma multiplo, può essere dovuto alla presenza di un monocita o di un macrofago che sopprime la maturazione dei linfociti B normali nelle plasmacellule secernenti anticorpi. Le discrasie plasmacellulari variano dall'essere condizioni asintomatiche, apparentemente stabili (nelle quali solo la proteina è presente) a forme neoplastiche clinicamente sintomatiche (p. es., mieloma multiplo),. Raramente, sono state descritte delle discrasie plasmacellulari transitorie nei pazienti con ipersensibilità ai farmaci (sulfonamide, fenitoina e penicillina), con sospette infezioni virali e in coincidenza di interventi cardiochirurgici.
MIELOMA MULTIPLO
Il mieloma multiplo è un tumore che colpisce le plasmacellule, una componente molto importante del sistema immunitario. In particolare le plasmacellule sono il risultato della maturazione dei linfociti B che, assieme ai linfociti T, rappresentano le due principali tipologie cellulari coinvolte nella risposta immunitaria. Il ruolo delle plasmacellule, che si trovano soprattutto nel midollo osseo, è quello di produrre e liberare anticorpi per combattere le infezioni, ma in alcuni casi la loro crescita procede in maniera incontrollata dando origine al tumore.Le cellule di mieloma producono in grande quantità una proteina nota come componente monoclonale (Componente M), un particolare tipo di anticorpo. La crescita anomala delle plasmacellule può creare problemi anche alle altre cellule del sangue (globuli bianchi, globuli rossi e piastrine) e dare origine, per esempio, a un indebolimento delle difese immunitarie, anemia o difetti nella coagulazione. Inoltre le cellule del mieloma producono una sostanza che stimola gli osteoclasti, responsabili della distruzione del tessuto osseo e, di conseguenza, i pazienti affetti da mieloma sono spesso soggetti a fratture ossee.
Tipologie
Il mieloma rappresenta un'alterazione delle plasmacellule, ma può presentarsi in forme diverse.
• Mieloma multiplo: il più frequente. Le plasmacellule tumorali sono localizzate prevalentemente nel midollo osseo e producono un anticorpo monoclonale completo che si ritrova in grande quantità nel siero del paziente.
• Mieloma micromolecolare: le plasmacellule producono solo parti di immunoglobuline note come catene leggere.
• Mieloma non secernente: le plasmacellule non producono immunoglobuline, ma sono presenti in numero eccessivo.
• Plasmocitoma solitario: il tumore ha un'unica localizzazione in un osso o a livello extramidollare.
• Leucemia plasmocellulare: le plasmacellule sono presenti in numero elevato anche nel sangue.
• Mieloma indolente: la malattia è asintomatica e non ci sono lesioni a ossa o altri organi.
Evoluzione
Dopo la diagnosi è indispensabile definire lo stadio del mieloma, in base al quale si ottengono anche indicazioni sulla prognosi della malattia. Il tradizionale metodo per attribuire uno stadio al mieloma si basa sull'utilizzo del sistema Durie-Salmon, che individua tre stadi tenendo conto di quattro fattori: quantità di immunoglobuline nel sangue o nelle urine, quantità di calcio nel sangue, quantità di emoglobina nel sangue ed gravità del danno osseo (valutata con raggi X). Questo sistema sta però diventando sempre più impreciso man mano che vengono introdotte nuove tecniche diagnostiche.Recentemente è stato proposto un altro sistema di stadiazione chiamato Sistema internazionale di stadiazione del mieloma multiplo che, per definire i tre stadi del mieloma, si basa soprattutto sui livelli di albumina e beta-2-microglobulina nel sangue, oltre che sulla funzione renale, sulla misurazione del numero di piastrine e sull'età del paziente. In alcuni casi il tumore si ripresenta dopo il trattamento: si parla allora di mieloma ricorrente, che può formarsi nuovamente nelle ossa oppure in altre parti del corpo. Viene infine definito mieloma indolente un tumore che non presenta una crescita attiva e veloce e non causa quindi danni a ossa o altri organi. Proprio per le caratteristiche della malattia, il paziente con mieloma indolente in genere non viene sottoposto a un vero trattamento ma solo ad attenta osservazione.
Diagnosi
La diagnosi precoce del mieloma multiplo è difficile poiché molti pazienti non hanno alcun sintomo fino agli stadi avanzati oppure presentano sintomi generici, che potrebbero essere causati da altre patologie. L'esame del sangue e delle urine fornisce una prima indicazione sulla presenza di un tumore delle plasmacellule: in caso di malattia si riscontrano infatti elevati livelli di immunoglobuline utilizzando tecniche di laboratorio chiamate elettroforesi delle proteine del siero e delle urine. In aggiunta a queste tecniche, altri parametri del sangue possono essere importanti per definire la presenza di mieloma anche se non sono essenziali per la diagnosi. In particolare i livelli di emoglobina e piastrine sono bassi in caso di malattia, come basso è anche il livello di albumina nel siero se il tumore è in fase avanzata. Anche alti livelli di beta-2 microglobulina e calcio nel siero indicano che il mieloma ha raggiunto uno stadio avanzato. La biopsia del midollo osseo, uno strumento fondamentale per la diagnosi del mieloma, consiste nel prelievo e nella successiva analisi di un frammento di osso e del midollo in esso contenuto. Il midollo viene aspirato con una siringa (aspirato midollare) e analizzato per cercare eventuali cellule tumorali. Per completare e ottimizzare la diagnosi di mieloma vengono anche utilizzate tecniche di diagnostica per immagini quali radiografie, TC, risonanza magnetica e PET.
AMILOIDOSI
Il termine amiloidosi identifica un gruppo eterogeneo di patologie caratterizzate dal deposito, nei vari organi e tessuti dell'organismo, di proteine anomale; tali proteine si depositano sotto forma di fibrille; i depositi costituiti da queste fibrille vengono denominati amiloide. Il danno che l'amiloide provoca ai vari organi e tessuti è dovuto al suo progressivo accumulo. I vari tipi di amiloidosi sono patologie rare, ma molto gravi, in cui il tasso di mortalità è decisamente elevato. La distribuzione dell'amiloide può essere di tipo locale oppure di tipo sistemico; la diversità fra le varie tipologie di amiloidosi è dovuta essenzialmente alle diverse proteine che possono, per motivi tuttora sconosciuti, mutare la loro struttura e ai diversi punti in cui l'amiloide tende a concentrarsi; appare quindi ovvio che pur parlando genericamente di amiloidosi, si possono avere quadri clinici e sintomatologici alquanto differenziati; appare altrettanto ovvio che la diversità fra quadri clinici e sintomatologia è causa di notevoli difficoltà per quanto riguarda la tempestività della diagnosi, tempestività che viene considerata un elemento di notevole importanza per affrontare al meglio la patologia.
Amiloidosi: i gruppi principali
I gruppi più importanti di amiloidosi sono i seguenti:
amiloidosi primaria AL
amiloidosi secondaria AA
amiloidosi ereditarie.
Amiloidosi primaria AL – L'amiloidosi AL (anche amiloidosi a catene leggere) è caratterizzata da depositi di catene leggere di immunoglobuline monoclonali, proteine che vengono prodotte dal midollo osseo; queste immunoglobuline vengono prodotte con lo scopo di proteggere l'organismo da processi di tipo patologico; per motivi non noti, queste immunoglobuline, una volta assolta la loro funzione, non si dissolvono, ma, al contrario, si trasformano in fibrille di amiloide e si accumulano progressivamente, trasportate dal flusso sanguigno, nei vari organi e tessuti.
Amiloidosi secondaria AA – L'amiloidosi AA è un tipo di amiloidosi che è secondario a diverse altre malattie. La proteina che caratterizza questo tipo di amiloidosi è la SAA (Serum Amyloid A), una proteina che viene prodotta durante le fasi acute di patologie croniche come, per esempio, l'artrite reumatoide. In alcuni casi, il trattamento della patologia primaria può rallentare, o addirittura bloccare, la progressione dell'amiloidosi. In questo tipo di amiloidosi, gli organi generalmente interessati in modo più serio sono i reni la cui sofferenza può manifestarsi con proteinuria, sindrome nefrosica e insufficienza renale. Altri organi che possono essere interessati, seppur meno pesantemente, da questo tipo di amiloidosi, sono fegato e milza. In casi molto rari può esserci anche un coinvolgimento dell'organo cardiaco.
Amiloidosi ereditarie – Nelle amiloidosi ereditarie sono diverse le proteine interessate; la mutazione di queste ultime origina diverse tipologie di amiloidosi ereditarie. Fra i diversi tipi di amiloidosi ereditaria, la più frequente è l'amiloidosi da transtiretina (amiloidosi TTR, MIM 176300). La transtiretina (TTR) è una proteina che viene secreta principalmente dall'organo epatico ed è deputata al trasporto di ormoni tiroidei (tiroxina e RBP, proteina legante il retinolo). Clinicamente, in questo tipo di amiloidosi, sono generalmente il sistema nervoso periferico e quello autonomo a essere maggiormente coinvolti. Nell'amiloidosi TTR, la modalità di trasmissione è di tipo autosomico dominante (si ha il 50% di probabilità che la patologia venga trasmessa ai figli; se i figli non ereditano la patologia, non sussiste il rischio che questi ultimi la trasmettano ai propri figli). L'amiloidosi TTR presenta alcune similitudini con l'amiloidosi AL, ma, a differenza di quest'ultima, è una patologia con minore aggressività e in cui le probabilità di sopravvivenza risultano maggiori. Un'altra tipologia di amiloidosi ereditaria è l'amiloidosi da apolipoproteina A-I (AApoAI, MIM 107680). In questa tipologia di amiloidosi, l'accumulo di amiloide riguarda generalmente cuore, fegato e reni; ciò porta a quadri di cardiomiopatia, epatopatia e nefropatia.
Diagnosi di amiloidosi
Per diagnosticare l'amiloidosi è necessario identificare i depositi di amiloide attraverso una specifica colorazione su un campione di tessuto; generalmente, a tale scopo, si esegue un ago aspirato peri-ombelicale, un esame ambulatoriale semplice e indolore la cui sensibilità, nelle forme sistemiche di amiloidosi, si aggira attorno all'80%. Se l'ago aspirato non porta alla diagnosi di amiloidosi, ma si sospetta ancora la presenza della patologia, è possibile fare ricorso alla biopsia di una ghiandola salivare labiale minore. A seconda dei casi può rendersi necessario un esame bioptico degli organi che si pensa possano essere interessati dall'amiloidosi. Se la presenza di amiloide viene confermata dagli esami diagnostici, si rende necessario stabilire quale tipologia di amiloidosi ha colpito il soggetto; si deve cioè identificare la proteina che causa i depositi. L'identificazione della proteina è un passaggio fondamentale per quanto riguarda il trattamento, dal momento che quest'ultimo varia al variare del tipo di amiloidosi.
CRIOGLOBULINE
Le crioglobuline sono un gruppo di proteine con la proprietà di formare un precipitato o un gel a freddo e di ritornare in soluzione a 37 °C. Sono presenti in una vasta gamma di manifestazioni cliniche e sono rappresentate da un gruppo eterogeneo di immunoglobuline (Ig) che, dopo purificazione all’analisi immunochimica presentano pattern nella forma singola o mista. Secondo la classificazione di Brouet si distinguono:- crioglobulinemia di tipo I in cui il crioprecipitato è costituito da una singola Ig monoclonale completa (IgG, IgA, IgM) o, più raramente, da una singola catena leggera. Si riscontra con maggiore frequenza nei pazienti affetti da mieloma multiplo,macroglobulinemia di Waldenstom. La crioglobulinemia di tipo II presenta un crioprecipitato costituito da una o più Ig monoclonale e Ig policlonale, definita mista, si associa a malattie linfoproliferative, malattie autoimmuni e HCV. Nella crioglobulinemia di tipo III il crioprecipitato è costituito da Ig policlonali o oligoclonali e sono riscontrabili in pazienti con malattie autoimmuni e infezioni croniche. La positività delle crioglobuline è fortemente condizionata dal comportamento metodologico e solo rispettando rigorosamente, nella fase preanalitica e analitica , la catena del caldo (prelievo, trasporto e centrifugazione a 37 °C, purificazione e caratterizzazione) possiamo escluderne o confermarne la presenza. Il sangue viene raccolto senza anticoagulanti, prelevato in provette preriscaldate a 37 °C e tenuto a questa temperatura finchè coagula. Il siero viene separato con centrifugazione a 37 °C a 1500 g per 15 minuti. Viene aliquotato in una provetta ed in un tubo di Wintrobe e tenuti entrambi a 4 °C. La presenza di crioglobuline viene segnalata dopo un periodo di incubazione a 4°C di 7 giorni e si presenta generalmente con un precipitato bianco o un gel. La reversibilità del crioprecipitato deve essere verificata riscaldando l’aliquota del siero precipitato. Le crioglobuline sono misurate come espressione del rapporto percentuale tra precipitato e volume del siero siero dopo centrifugazione a 1500 g per 10 min a 4° C. I precipitati sono risospesi in soluzione fisiologica o soluzione con PBS a 4 °C e lavati per tre volte).Sul crioprecipitato disciolto si esegue una immunofissazione usando antisiero totale umano e antisieri specifici per γ,α,µ,κ,λ. In questo modo le crioglobuline possono essere classificate nella tassonomia descritta. Il referto del laboratorio deve prevedere, in presenza di crioglobulinemia, il dato del criocrito e la tipizzazione delle Ig interessate, secondo la classificazione di Brouet.
FREE LIGHT CHAINS (FLC)
Durante la sintesi delle immunoglobuline, le plasmacellule producono un lieve eccesso di catene leggere rispetto alle catene pesanti; queste proteine che non sono utilizzate per assemblare la immunoglobulina intera, vengono denominate catene leggere libere (FLC). L’emivita di FLC è di 2-4 ore per le catene kappa e di 3-6 ore per le catene lambda che nel siero sono presenti come dimeri, in quanto vengono liberamente filtrate dal glomerulo a causa delle loro piccole dimensioni. La diversa velocità di filtrazione renale comporta che, anche se la sintesi è a favore delle catene kappa, nel siero la concentrazione delle catene lambda possa essere maggiore. Una concentrazione plasmatica aumentata può essere dovuta a diverse situazioni cliniche quali depressione o stimolazione immunitaria, insufficienza renale o nelle discrasie plasmacellulari. Ad eccezione di quest’ultima condizione tuttavia, il rapporto tra catene kappa e catene lambda rimane normale. Un rapporto alterato a favore di una delle due catene leggere (kappa o lambda) si osserva in presenza di disordini linfoproliferativi. Nei primi anni 2000 è stato introdotto un saggio immunometrico per la misura delle catene leggere nel siero che, utilizzando anticorpi contro gli epitopi nascosti nella immunoglobulina intera, è in grado di misurare le sole FLC. Questa misura non è in grado di distinguere tra FLC policlonali e monoclonali; tuttavia come detto poco sopra, una alterazione del rapporto kappa/lambda depone per una proliferazione linfo-plasmacellulare monoclonale (1).
Intervallo di riferimento (mg/L)
κ FLC 3.3 – 19.4
λFLC 5.7 – 26.3
κ/λFLC 0.3 –1.2 0.26 – 1.65
MACROGLOBULINEMIA DI WALDESTROM
La macroglobulinemia di Waldenström è una neoplasia monoclonale caratterizzata dalla proliferazione di cellule B e dalla presenza nel midollo osseo di un infiltrato plasmacellulare e, nel plasma, la presenza di una componente M (M sta per monoclonale) dovuta alla iperproduzione di una gammaglobulina, che in questo caso appartiene alla classe IgM. A differenza del mieloma, tuttavia, mancano le lesioni osteolitiche. La manifestazione clinica preponderante è la sindrome da iperviscosità. A causa delle analogie con il mieloma, per lungo tempo la macroglobulinemia di Waldenström è stata ritenuta una sua variante. Attualmente l'Organizzazione mondiale della sanità la classifica tra i linfomi a basso grado di malignità.
COMPONENTI MONOCLONALI
Le componenti monoclonali sono molecole di immunoglobuline (”Ig”) o parti di esse. Le normali plasma cellule producono immunoglobuline che sono gli anticorpi necessari a combattere le infezioni. Le plasma cellule anormali –“cellule del mieloma”- presenti nei pazienti con mieloma non producono anticorpi in risposta ad una infezione ma producono delle immunoglobuline monoclonali che non possono funzionare come un anticorpo. Questa immunoglobulina tipica è unica per ciascun paziente di mieloma può essere costituita da: catene pesanti unite a catene leggere o da sole catene leggere o da frammenti/combinazioni di immunoglobuline
ELETTROFORESI PROTEICA
L’elettroforesi delle proteine è un’analisi di laboratorio basata sulla separazione delle proteine in presenza di corrente elettrica. Per effettuare questo test, si possono utilizzare un supporto solido (come un gel d’agarosio) oppure dei sottili tubicini in silice, detti capillari, riempiti da un liquido. Quando un campione contenente una miscela di proteine viene applicato sul gel o in un capillare, le diverse proteine della miscela vengono separate in funzione della propria carica elettrica. Quando si vuole effettuare la ricerca di componente monoclonale, i laboratori analizzano il siero e le urine tramite l’elettroforesi delle proteine, l’unico test che può confermare in maniera univoca la monoclonalità
LE IMMUNOGLOBULINE
Le immunoglobuline sono proteine con funzioni anticorpali, prodotte da speciali cellule del sistema immunitario dell'organismo come risposta alla presenza di agenti esterni in esso penetrati, come virus, batteri, protozoi, funghi, cellule tumorali o di tessuti, che vengono riconosciuti come estranei per la presenza sulla loro superficie di molecole dette antigeni. Gli anticorpi vengono prodotti nel sangue da un particolare tipo di cellule, le plasmacellule, derivanti dalla differenziazione dei linfociti B in presenza dell'antigene. La funzione degli anticorpi è quella di riconoscere l'agente estraneo e di renderlo inoffensivo, con modalità che possono essere varie. La forma della molecola di un anticorpo può essere rappresentata come una Y, formata da quattro catene proteiche (due 'pesanti' e due 'leggere'): alcune porzioni della molecola sono uguali per tutti gli anticorpi, mentre altre sono caratteristiche di ciascun tipo di anticorpo e gli conferiscono proprietà specifiche. Gli anticorpi, definiti anche immunoglobuline, sono generalmente indicati con l'abbreviazione Ig; in base alle differenze di struttura e funzione, sono classificati in cinque classi, indicate con le lettere A, D, E, G e M. Le immunoglobuline IgM costituiscono il primo tipo di anticorpo che il neonato è in grado di produrre, e anche il primo tipo che, nell'adulto, viene sintetizzato in presenza di un'infezione; le IgG, o gammaglobuline, sono gli anticorpi predominanti nel siero e compaiono quando l'organismo viene esposto per la seconda volta a uno stesso antigene; le IgE sono gli anticorpi prodotti in seguito a reazioni allergiche; le IgA sono costantemente presenti nella saliva, nel tubo digerente e nel latte materno; il ruolo delle IgD è sconosciuto. Il riconoscimento di un antigene da parte di un anticorpo avviene in modo specifico grazie al fatto che la struttura dell'anticorpo è complementare a quella dell'antigene: ciò permette alle due molecole di legarsi in modo analogo alla combinazione di una chiave con la corrispondente serratura. Gli anticorpi, dopo avere riconosciuto le sostanze antigeniche poste su cellule estranee e dopo essersi legati a esse, possono neutralizzare queste cellule con due modalità: 1) mediante l'attivazione del sistema del complemento, cioè di proteine plasmatiche che ne perforano la membrana; 2) attivando particolari cellule sanguigne che inglobano e distruggono quelle intruse con un processo di fagocitosi. Dopo essere stato a contatto con un dato antigene, l'organismo continua a produrre per un certo numero di giorni anticorpi specifici; dopo avere raggiunto un valore massimo, la produzione decresce e infine si arresta. In alcuni casi, l'organismo mantiene nel suo sangue alcuni anticorpi per quell'antigene: esso, cioè, resta immunizzato in modo permanente, il che si verifica, ad esempio, in alcune malattie come la varicella. La produzione di anticorpi nell'organismo può essere stimolata con l'inoculazione di vaccini. I tipi di anticorpi che ogni organismo può sintetizzare è estremamente elevato, dato che elevato è il numero delle sostanze che si comportano da antigeni: in realtà, qualsiasi sostanza che viene introdotta nel corpo è estranea a esso e quindi può agire da antigene. Esistono alcune patologie in cui l'organismo non è più in grado di riconoscere come proprie alcune sue parti, e produce anticorpi contro di esse. Malattie di questo tipo sono in genere definite malattie autoimmuni e comprendono, ad esempio, il lupus eritematoso sistemico e la sclerosi multipla.
PROTEINURIA DI BENCE JONES
Le urine rappresentano il risultato dell’ultrafiltrazione glomerulare e del riassorbimento tubulare. In condizioni fisiologiche questi processi impediscono la perdita indesiderata di proteine nelle urine. A livello diagnostico è fondamentale la ricerca delle proteina urinarie in quanto mediante la tipizzazione delle catene leggere libere monoclonali (Proteina di Bence Jones PBJ) e delle componente monoclonali intere è possibile, sia valutare lo stadio di avanzamento di una gammapatia monoclonale, sia prevenire i problemi legati all’azione nefrotossica delle PBJ. Normalmente le plasmacellule producono un eccesso di catene leggere rispetto a quelle legate alla rispettiva catena pesante. Quando queste proteine sono prodotte in grandi quantità come nelle patologie neoplastiche può risultare dannosa al tubulo renale configurando nel tempo vari gradi di compromissione renale. La PBJ è evidenziabile mediante elettroforesi urinaria presentandosi come una banda netta a localizzazione variabile dovuta ai vari gradi di polimerizzazione della proteina e l’immunofissazione permette la sua caratterizzazione immunochimica. La presenza di PBJ è un indicatore prognostico negativo della progressione delle discrasie plasmacellulari e il suo follow up è indicato in tutte le linee guida internazionali.
MALATTIE DA CATENE PESANTI
Le malattie da catene pesanti (HCDs) sono rari disordini proliferativi delle cellule B linfoplasmatiche, caratterizzate dalla produzione di frammenti o di catene pesanti incomplete con caratteristiche di immunoglobuline monoclonali, senza catene leggere associate. Le HCDs implicano la presenza delle tre principali classi delle immunoglobuline che sono state caratterizzate; l’ α-HCD è la più comune ed è quella che si presenta in modo più uniforme, la γ- e la μ-HCD hanno invece presentazioni cliniche e caratteristiche istopatologiche variabili. Le HCDs possono essere pensate come un tipo diverso di linfoma non-Hodgkin. La α-HCD si presenta come un linfoma della zona marginale extranodale del tessuto dei linfonodi associato alla mucosa; la γ- HCD come linfoma non-Hodgkin linfoplasmacitoide, e la μ-HCD come un piccolo linfoma non-Hodgkin linfocitico o come leucemia linfocitica cronica.La diagnosi delle HCDs richiede la presenza di frammenti di una catena pesante dell’immunoglobulina senza nessuna catena leggera ad essa legata nel siero e nelle urine. La prognosi è variabile e non sono disponibili specifici programmi di trattamento standardizzati eccetto che per la α-HCD, che può rispondere a terapia con antibiotici in fase precoce.La rarità della patologia permette di presentare casi isolati in cui il laboratorio ha aiutato il clinico nella formulazione di una esatta diagnosi. L’immunofissazione è una tecnica di laboratorio che evidenzia attraverso l’uso di antisieri specifici e metodiche riproducibili molte proteine e le sue eventuali varianti . L’uso oramai diffuso nella caratterizzazione di componenti monoclonali su siero e urine ne permette la diffusione in quasi tutti i laboratori medio grandi. L’automazione ha reso semplice e riproducibile questa tecnica elettroforetica dove l’unica variante è la conoscenza protidologica da parte dell’analista nell’interpretazione dei vari pattern e gli eventuali step successivi da svolgere affinché si possa emettere un referto compatibile con le varie patologie associate. Le malattie da catene pesanti sono difficili da trovare come reperto tra i pattern immunofissativi e il suo riscontro deve essere sempre validato da successivi test di conferma. Le metodiche per evidenziare l’HCD sono di difficile esecuzione , richiedono una strumentazione che spesso è a disposizione soltanto in laboratori universitari o specializzati per patologie ematologiche. Inoltre la presenza di HCD richiede sempre un approccio multidisciplinare tra il clinico e il patologo clinico; infatti, l’analisi su siero eseguita attraverso tecniche elettroforetiche ( elettroforesi capillare, gel elettroforesi ) spesso non evidenzia picchi monoclonali, ma aumenti della zona gamma o un lieve aumento in zona beta1/beta2.